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"COSÌ COMPRO LA VITA DEI BAMBINI SOLDATO"

Lunedì 30 marzo 2009

"Così compro la vita dei bambini soldato"

 

Uganda, tra i religiosi che riscattano i piccoli rapiti dai guerriglieri

L'inferno gli sussurrò in kiswahili. <Ntura iji ni icamarero>. E lui ne era uscito. Era successo una notte, mentre faceva la sentinella al campo dei ri­voltosi che lo avevano catturato, in­dottrinato e istruito ad ammazzare. Seduto su un ceppo, in mezzo allo spiazzo del Rachele Rehabilitation Center presso Lira, nel cuore in­quieto dell'Uganda, ora don Silvio Mantelli, 65 anni, salesiano, ascolta­va in silenzio la storia di Bosco, che aveva 15 anni. Era h che suor Rache­le, comboniana, di Roma, accoglie­va tutti quelli che riuscivano a sfug­gire alla guerriglia e tentava di ri­dar loro un minimo di equilibrio, di scolorire gli incubi che ne segnava­ho le notti. Ma non sempre era an­data bene. Quella volta, nel 2005, il sole era appena scomparso quando un gruppo armato aveva fatto irru­zione nelle baracche. Di guardia non c'era nessuno e avevano cattu­rato le 120 ragazze che vi erano ospitate. La suora si era messa alla ricerca, a piedi, di villaggio in villag­gio, e in un anno ne aveva rintrac­ciate una trentina. Affrontava i capi di quei branchi, trattava, strappava dalle loro mani le prede. Anche Bosco era stato rapito in una notte di massacri, razzie e fol­lia. Aveva poco più di 10 anni, cin­que fratelli e un futuro fosco, li fra quelle capanne chiamate Doruma, nel distretto di Gulu, nel profondo nord. Erano finite tutte in cenere nel gran rogo appiccato dalla mar­maglia del capitano ribelle Joseph Kony, un signore della guerra che ancora oggi scorrazza al di qua e al di là del confine con il Sudan e grida di udire «la parola di Dio e questo esercito di bambini è il Suo esercito,>. «Neppure lui sa di quale Dio parli», commenta amaro don Silvio. Lo braccano, forse, e con molta for­tuna, anche lui, come Thomas Lu­banga in questi giorni, potrebbe fini­re davanti alla Corte penale interna­zionale dell'Aja. Il prezzo per la vita di quel ragaz­zo era stato di 200 dollari e ora lui parlava e il prete ascoltava. «Inse­gnavano ad ammazzare e, se non c'erano fucili sufficienti, facevano usare i machete o i bastoni. Molti so­no stati assassinati a randellate. Mi ordinarono di imparare e mi fecero ammazzare un vecchietto. Ci co­stringevano a uccidere, a cuocere la vittima e mangiarla. Ma non ero un guerriero, se ne accorsero e così non mi buttarono nelle mischie». Quando fuggì non lo ripresero, ma ebbe la sfortuna di finire in mezzo a uno scontro e un proiettile vagante lo colpi alla caviglia destra. Conti­nuò a scappare, la ferita andò in cancrena, in un villaggio lo avverti­rono: se non tagliavano, sarebbe morto. «Va bene». Con un seghetto a mano, senza anestesia, un uomo che forse non aveva una nozione di medicina, amputò sopra il malleolo. Lui rimase ancora una settimana, nascosto nella boscaglia, poi si tra­scinò fino al Centro di Kalongo, il più grande dell'Uganda dove, in qualche periodo, si sono ammassati anche 50 mila disperati. Qualcuno era andato a cercarlo anche li, ci fu una trattativa dura, ripugnante. «È nostro, ma se lo volete, ve lo vendiamo». Poi lo avevano portato al Cen­tro. Ora frequenta l'università di Kampala, Facoltà di Medicina. «For­se sarò utile a qualcuno», sospira con quella sua voce bassa. Dopo di lui dallo ntura iji ni icama­rero sono scappati in 800 e, per tutti si è contrattato, pagato i 200 dollari. Ma a fianco di questi sopravvissuti, perseguitati da ricordi crudeli, mi­gliaia sono stati inghiottiti da una guerriglia che po­chi capiscono. Quanti morti, don Silvio? «Centomila, cifra approssimata per difetto, e il 35 per cento erano bambini». Da «Ra­dio Pacis», tenuta dal missionario comboniano Tonino Pisolini e affida­ta a ex bambini-soldato, ogni sera si incitano i mini-combattenti a fuggire e si indicano loro le piste più sicure da seguire. Il destino dei prigionieri era cru­dele, «soprattutto quello delle ragaz­ze perché vengono considerate ogget­ti, preda di guerra per i capi, schiave sessuali e, quando sono giudicate ormai mai inutili, vengono abbandonate». II destino di Colline, forse è stato anco­ra più orrendo. La numero 800 è lei. La presero nel villaggio di Patongo, pure quello nel martoriato distretto di Gulu. Quando avvenne la razzia, con il fratellino Michael, 3 anni, era scappata nella boscaglia. Si erano fer­mati dietro una fitta siepe, immobili per minuti che parevano eterni. For­se ce l'avrebbero fatta, ma il bambino si era messo a pian­gere. Quello che li scoprì impugnava un machete e con un colpo tagliò in due il piccolo. Poi dette un colpo in te­sta alla ragazza.  Quando lei si risvegliò era appesa per i polsi con altri a un palo sorretto da due armati. Aveva 16 anni, grassoc­cia, i capelli rasati. Un anno e otto me­si in un girone orrendo poi il suo pa­drone aveva deciso di sbarazzarsene: 200 dollari potevano andare bene.
Lei era incinta e aveva la mente devastata da ricordi terribili. Ancora una volta al Centro di suor Rachele era iniziato il delicato lavoro di ricuci­tura. Ai ragazzi veniva anche chiesto di mettere su carta i loro ricordi, poi, per cercar di esorcizzare la paura, li facevano giocare alla guerra, con ar­mi di latta. Ma con Colline qualcosa non ha funzionato, un giorno è stata di nuovo inghiottita dal nulla.
Gli insuccessi non frenano la buo­ne volontà di don Silvio, che è un otti­mista e che, quando può, come Mago Sales, con i suoi giochi di prestigio fa sorridere i bambini, quelli infermi, so­prattutto. Ma il tempo non è stato ga­lantuomo. Suor Rachele è stata mi­nacciata dal governo in carica, co­stretta a lasciare il suo Centro e ora la struttura è cadente, trasformata in una scuola incialtronita dall'indiffe­renza. Ma don Silvio non molla, lavo­ra con lo Sponsoring  Children Ugan­da, un'organizzazione belga. «Per ogni bambino diamo 200 curo all'an­no, per quattro inni, rinnovabili. La gente ci aiuta attraverso donazioni al­la Fondazione Mago Sales sul conto corrente postale 42520288 o con ver­samenti alla Banca Intesa San Paolo, Iban IT 73 X 03069 30530 100000061253. Io stesso controllo il percorso e la destinazione del dena­ro». Nessuno sa quanti siano quelli della banda Kony e degli altri gruppi che vorrebbero fuggire: ma questo non importa, l'essenziale è allonta­narli da quell'inferno.

 

 

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