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Capitolo V

CAPITOLO QUINTO

VITA DA PROFESSIONISTA (In gara con me stesso, con Dio e con i bambini del mondo)


1991 settembre tempo di migrare. 
La mia transumanza avvenne in un mattino di tiepido autunno, prima dell’inizio delle scuole. Destinazione: istituto salesiano Monterosa “multiuso”: cioè con molte attività: oratorio, parrocchia e scuola. Era l’ambiente adatto per mettere a profitto la mia laurea in pedagogia; infatti mi misero a insegnare storia e geografia in due classi della scuola media Michele Rua nell’omonimo istituto salesiano di Via Paisiello 37 in Torino. 

Il comportamento umano sovente è paragonabile all’andamento delle onde del mare: continuo e ripetitivo e la mia vita non faceva certo eccezione a questa regola, per cui il problema di un tempo, legato alla mia incapacità a mantenere la disciplina, ritornò a galla. Con tutto ciò mi trovai contento di annegare in quel dolce mare della scuola. Avevo l’apprezzamento degli allievi, la comprensione dei genitori e la rassegnazione del preside e degli insegnanti. Come sempre non si poteva aver tutto dalla vita. 

Direttore dell’opera era don Mario, una vecchia conoscenza e amico. Anche lui usava la terapia del sorriso mediante canti, barzellette e giochi di prestigio per comunicare con bambini, giovani e anziani… insomma con tutti. 

Ero di nuovo a casa e per due anni ripercorsi una strada già nota senza ignominia e senza lode. Sul fronte della magia e dello spettacolo, però, riportai una grande novità. La mia presenza scenica si fece più elaborata quando, nell’autunno del 1992, Arturo Brachetti ritornò dalla sua tourné in Europa e mi aiutò nell’allestimento teatrale del mio primo grande spettacolo di magia: una “commedia magica” di due ore con più personaggi dal titolo un po’ curioso, ma profetico: “Il giro del mondo in 80 minuti”. 

L’anno dopo incomincia veramente a girare il mondo e fu l’inizio di una grande avventura che continua ancora oggi. 

1993 Dopo anni di onorata “carriera” in Italia misi trucchi costumi, bacchetta e cilindro magico in due grosse valigie e partii a portare il mio spettacolo in giro per il mondo. Da quel fatidico agosto del 1993 ho fatto tre volte il giro del globo, trascinando nel gioco i vivaci bambini dei villaggi africani in Nigeria, Kenya, Madagascar, Somalia, Uganda, ecc. facendo ridere le timide ragazzine delle Ande boliviane, allietando intere scolaresche delle Filippine, affascinando migliaia di giovani nelle missioni di Macao, di Hong Kong, portando un sorriso ai bambini Indiani di Calcutta, dell’Indonesia, del Vietnam e della Cambogia. ballando e giocando a ritmo di samba con gli irrequieti ragazzi delle favelas brasiliane e delle foreste dell’Amazzonia… Insomma la mia vita si trasformava in un canto di gioia e il gioco di magia generava allegria ed io ne diventavo il mercante o meglio il dispensatore, regalando sorrisi ai bambini del mondo: al bambino bianco, al bambino nero, al bambino giallo, al bambino rosso… In cambio ho sempre ricevuto un bene prezioso: amore. 

Il sorriso donato non era certo un “affare” era e resta un diritto, come la vita, la salute, la felicità… Ma, percorrendo le strade del mondo, incontravo situazioni di estrema povertà in cui questo diritto troppo spesso era negato. 

La mia missione diventava allora quella di dare un “tetto al sorriso del mondo”, aiutando i bambini che non avevano una casa, una famiglia o un amico, a vivere “decentemente” il grande dono della vita. 

Da quel lontano 1993, grazie all’aiuto di tanti benefattori, molti bambini sono stati liberati dalla fame, dalle malattie, dall’ignoranza e hanno ricevuto sostentamento, salute, istruzione e tanta allegria. 

Questo progetto cambierà la mia vita e fu originato da un fatto non certo casuale. 

Ripensando ai momenti più importanti della mia vita, mi accorgo, ora, che sono sempre stato guidato da un provvidenziale destino, che a volte mi ha salvato da un pericolo nascosto, ma più sovente mi ha indicato la strada da percorrere. Questo destino io lo chiamo semplicemente “buona sorte” ed è affidato a un angelo… ad un “angelo custode”. In quanto credente, ho la fortuna di sapere che proviene da Dio, l’artefice della mia vita, come quella di tutti i bambini del mondo. 
Il pretesto per smuovermi dal suolo natio avvenne al termine di una cena in casa dei genitori di Mario a Torino. Mario Fasson era un mio ex allievo della scuola professionale in Valdocco; si interessava di giochi di prestigio ed era stato per alcuni anni il mio collaboratore assistente mago. Poi un bel giorno piantò tutto e andò in Brasile a lavorare come volontario in un ospedale del Mato Grosso. Doveva restare solo due mesi, ma, nel 1993, dopo due anni, era ancora là. Così, siccome Mario non sembrava voler ritornare a casa, la famiglia Fasson e il mago Sales, al termine di quella cena, decisero di andar loro in Brasile a trovare Mario. 

Ai primi di agosto del 1993, con due valige, un passaporto nuovo e due genitori a carico, varcai i confini europei per il nuovo mondo. 

1993—15 Agosto Sao Juliao, Mato Grosso, Brasile — inizio dell’avventura. 

Nella mia vita ho rallegrato centinaia di migliaia di bambini ed ho fatto innumerevoli rappresentazioni … Tante, ma non troppe per non ricordarne qualcuna in particolare ed una di queste fu lo spettacolo presentato nel lebbrosario di Sao Juliao nel Mato Grosso del Brasile. In tale occasione, fra centinaia di bambini in festa, che ridevano e applaudivano, mi accorsi di un bambino che mi osserva con particolare meraviglia e attenzione. Il suo sguardo andava al di la del gioco che facevo ed era attratto da un qualche cosa che ancora non conoscevo. Io stesso ero rapito dalla magia di quello sguardo che mi osservava e guidava i miei movimenti fino alla fine dello spettacolo. Non mi accorsi nemmeno degli applausi finali e del pubblico che se ne andava. Al centro della grande sala c’era rimasto solo lui: Paolino. 

Andai da lui e mi disse: “Tu che sei un mago, perché non mi fai guarire da questo brutto male? Così potrò ritornare dai miei genitori”. Paolino era malato di lebbra e la mamma lo aveva abbandonato per paura che venissero contagiati gli altri suoi figli. 

Di fronte a quella richiesta semplice, ma disarmante, la mia bravura di prestigiatore scomparve (non certo per magia) e mi accorsi di essere uno sfrattato... un randagio, un personaggio in cerca di una nuova scrittura teatrale. Quella richiesta mi suonava nella mente come un impossibile bis ad un prodigio mai immaginato e realizzato... Nello stesso tempo mi sentivo tremendamente inutile. I miei trucchetti di magia non erano più all’altezza dei bisogni reali dei miei piccoli spettatori. Avrei fatto fagotto con i miei fazzolettini, palline colorate, fiori di piume e animaletti vari e sarei ritornato in Italia con una esperienza da dimenticare. 

Quella notte non riuscii a chiudere occhio. Poi, all’alba, istintivamente mi resi conto che era possibile realizzare qualche cosa di bello e di buono... di magico. 

Tutti i miei giochi precedenti erano basati unicamente sulla bravura dovuta allo studio del sorprendente e all’esercizio delle mie mani. Era insomma una mia magia, una bella magia, senza dubbio, ma sempre e solo una mia singola magia, distaccata dalle attese del mio uditorio. Non avevo mai pensato prima che era possibile realizzare una magia differente, una grande magia in cui il pubblico diventava artefice e realizzatore del lavoro teatrale. 

In pratica, se prima cercavo di portare la mia magia al pubblico per meravigliarlo, ora, invece, non dovevo far altro che portare il pubblico nella mia magia per entusiasmarlo. Tutto questo era possibile semplicemente interessando il mio pubblico, ai bisogni e alle necessità dei bambini meno fortunati dei nostri. 

Unendo le mie qualità magiche di intrattenitore alla generosità d’animo del pubblico che sempre interveniva numeroso ai miei spettacoli, speravo così di ottenere il collegamento necessario per compiere la grande magia di far guarire Paolino dalla lebbra. 

Arrivato in Italia, interessai alcuni miei colleghi maghi e con l’aiuto dell’organizzazione Mato Grosso di Torino allestii un grandioso spettacolo di magia. Fu un enorme successo. Così con il ricavato di quella serata, finalmente Paolino poté avere le prime cure nel lebbrosario di San Juliao nel Mato Grosso del Brasile. 

L’avventura aveva avuto inizio e con essa nasceva in me una nuova vocazione e chiamata alla gioia. Sarei diventato il clown dei piccoli della terra, il mago capace di far compiere la grande magia della generosità. 

Lino Villachà era un ammalato nell’ospedale São Julião di Campo Grande, soprattutto era un poeta. Attraverso le sue poesie ringraziava per la vita, esaltava la natura e le persone. Nonostante la malattia che lo distrusse, dimostrò estrema sensibilità e gioia di vivere. Pur non avendo ricchezze, regalava a tutti qualche cosa. A me e a Paolino regalò un sorriso e una poesia: 

Il prete magico 
I bambini si sedettero sul pavimento attorno al palco per vedere più da vicino lo spettacolo. Paolino era ansioso. 
I suoi occhi brillavano nella grande attesa... quando il magico, con la lunga barba, con cappello e mantello ornato di stelle salì sul palco. 
Prese con se un bambino e collocò nella sua mano un oggetto. 
Gli girò intorno un paio di volte danzando... ritirò il drappo e vide che nella mano del bambino era sbocciato un mazzolino di fiori. 
Incredibile! Pensò Paolino. 
Ora da un tubo il magico tirò fuori drappi colorati, ognuno di un colore diverso. 
Poi li posò tutti in un sacco. 
Lo rigirò, lo toccò con la sua bacchetta magica e ne fece uscire un grande lenzuolo formato da tutti i drappi colorati che vi aveva messo... 
“Come è possibile...”. 
Uscirono poi dalle mani del magico degli anelli lucenti e si univano nell’aria incatenati gli uni agli altri. 
Le sue mani facevano cose straordinarie. 
“Sarà che possa fare che la mamma mi voglia bene e che mi accetti di nuovo a casa?”, pensava Paolino che non sa più dove andare dopo essersi ammalato! 
Ecco viene il magico trasformando con le sue mani i palloncini in fiori o in una corona che collocò sulla testa di un piccolo. 
Una suora scese dal palco con l’aureola di una santa... 
Paolino sognava... 
Desiderava incontrare un nuovo papà e una nuova mamma che lo accogliessero come figlio. 
E intanto lo show stava terminando. 
Il magico adesso è di nuovo prete. 
Il suo migliore miracolo ora è di fa uscire dal fondo degli uomini tristi una fiamma di speranza e di fiducia. 
Accendere la luce sul cammino delle persone perse. 
La sua maggior magia che nessuno vide fu di far sbocciare nei cuori increduli un poco d’amore vicendevole e così farci incontrare l’allegria di vivere e di essere incantati dalla vita. 
Lino morirà l’anno seguente a primavera, ma la sua poesia è penetrata profondamente nel mio cuore di prete e sulle note di un poema tradizionale Yorubà, ora posso dire: “Bambini della casa, vecchi della casa, uomini, donne, giovani e vecchi, chiunque vede un bambino appena nato deve essere contento. 
Io sono un bambino appena nato: venite a giocare con me”.



Bolivia 
L’estate, in Italia, non era ancora finita. Dal Brasile il mio viaggio continuò in Bolivia e vi arrivai in pieno inverno. Ero a 4200 metri di altitudine. A parte il freddo, ero… al settimo cielo. 

Improvvisai spettacoli all’aperto sotto fiocchi di neve, al chiuso in piccole sale riscaldate da un focolare domestico, nelle chiese assiepate di gente, in teatri fatiscenti ma zeppi di scolaresche in festa, all’interno di miniere di tungsteno nell’altipiano andino, nelle foreste della pianura per i campesinos delle piantagioni di coca. Arrivai fino al confine con il Perù, seguendo il percorso dell’immenso lago Titicaca, servendomi di ogni mezzo: trenino, autobus, fuoristrada o a piedi, sempre scortato da coraggiosi campesinos che avevano il compito di difendermi da eventuali attacchi di mercenari appartenenti a “Sendero Luminoso”: la brutta copia di quello che fu il “Che”. 

1994 agosto - Madagascar 
Ormai ero stato contagiato… l’inerzia era stata vinta. Il morbo dei viaggi aveva preso dimora in me ed io non ne pretesi l’affitto… tanto meno ne chiesi lo sfratto. Così decisi che ogni anno, in occasione delle vacanze, sarei andato in un paese del mondo a rallegrare i bambini delle missioni salesiane e, nello stesso tempo, mi sarei ricaricato di nuova linfa vitale. Le magiche esperienze dei viaggi diventarono per me l’elisir di eterna giovinezza, o meglio, di lunga vita. 

Durante l’estate del 1994 andai in Africa e precisamente nella grande isola del Madagascar. Qui, in un villaggio del Nord, all’inizio del mio viaggio mi rubarono le valige con dentro i giochi, Questo avvenne di notte, mentre dormivo. I ladri furono più maghi di me; si arrampicarono fino al secondo piano dove era la mia stanzetta, entrarono dalla finestra e mi portarono via vestiti e giochi. Almeno penso che andò così, perché svegliandomi non trovai più nulla. Non mi restò altro da fare che improvvisare un nuovo spettacolo con attrezzi raffazzonati e mantenere un rigoroso silenzio. Infatti un vero mago non può raccontare di essere stato derubato, in quanto ne andrebbe della sua fama di abile veggente. Così dovetti fare buon viso a cattiva sorte e inventai nuovi trucchi. Con tutto ciò il successo e le sorprese non tardarono ad arrivare. Verso la fine del mio viaggio nell’isola, mi trovavo nella missione salesiana di Ankililoaka. Avevo appena terminato una mia rappresentazione, quando mi si avvicinarono alcuni abitanti del villaggio. Pensai che avrei ricevuto i consueti omaggi di ringraziamento per aver fatto divertire i loro bambini, e già mi preparavo, anche esternamente, ad un benevolo sorriso di circostanza. Assieme ai complimenti però ricevetti la richiesta di un mio intervento magico presso una abitazione del loro villaggio, ma ad alcune condizioni: che il divertimento non venisse filmato e nemmeno fotografato e che inoltre terminasse col tramonto del sole, che in quelle zone tropicali avviene sempre verso le 17, 30. 

Le condizioni mi parvero alquanto insolite, ma la curiosità e la voglia di far divertire sono sempre state una molla più che sufficienti all’azione, almeno per il sottoscritto. Insieme al missionario e ai miei collaboratori, raccolsi i miei giochi in una valigia e, a pomeriggio inoltrato, mi avviai vero il luogo della mia nuova rappresentazione. 

Arrivando in prossimità della capanna sentii canti o voci di festa. Era un segnale di buon augurio che faceva presagire uno spettacolo di sicuro successo. Passando lungo la strada gli abitanti ci salutavano festosi con inviti augurali tipo “Salamoo...Salamee!”. Ormai mi ero abituato a farmi dare del “salam...e” da tutti. 

Appena giunto, scaricai le mie valigie e chiesi dove avevano preparato per lo spettacolo. “Venga con noi”, mi dissero in lingua malgascia. E io li seguii. 

Lo spazio riservato per la rappresentazione era l’atrio esterno della capanna, cioè la strada. Nulla di strano in tutto questo. Ormai ero abituato a fare le mie magie un po’ dovunque. La cosa strana, anzi anormale, era che appena fuori della capanna, proprio vicinissimo al luogo dove avrei dovuto fare lo spettacolo c’era una tavola di legno con sopra il cadavere di un uomo anziano, che in seguito seppi essere il capo del villaggio. 

L’occasione della mia rappresentazione magica era dunque un funerale. 

In tutti i miei anni passati di richieste “strane” per spettacoli ne avevo avute. In Italia avevo anche lavorato al mattino per i democristiani (festa dell’amicizia) e al pomeriggio per i comunisti (festival dell’unità), anticipando già allora un possibile compromesso storico e pensavo con quello di aver raggiunto il massimo; ma, certamente, questa richiesta superava tutte le altre. 

Vi immaginate voi come può essere il biglietto da visita di un mago del luogo: “Disponibile per feste di piazza, compleanno, nozze e... funerali”. 

Chiesi spiegazioni al missionario, l’unico che poteva darmene, anche perché non capivo la lingua degli abitanti del luogo. 

“Paese che vai, usanza che trovi”, mi disse il mio amico e continuò “Vedi in queste zone è presente una forte cultura animista e per loro è importante che l’anima del morto lasci questa terra in serenità e allegria. Quindi in ogni funerale, anche se si è addolorati per la scomparsa della persona amata, l’atteggiamento esterno deve essere quello della festa. Solo così il morto si avvia sereno verso i pascoli eterni dell’aldilà. Guarda le loro capanne - continuò il missionario—sono di paglia e fieno, materiale che si consuma nel tempo. Osserva ora le loro tombe: sono di pietra e ricche di decorazioni, perché la vita dopo la morte è eterna e le anime vi devono vivere bene. Non la pensiamo così anche noi cristiani?. A me pare che con i nostri pianti e strilli siamo più portati a pensare alle cose di questa terra che alle realtà del cielo. Riempiamo di agi la nostra vita di quaggiù e poi è chiaro che ci dispiace lasciare tutto. Del resto queste sono le rare occasioni in cui i poveri del terzo mondo mangiano un po’ meglio del solito”. 

Era un ragionamento a fil di logica; sicuramente, ripensandoci, era l’occasione per una più profonda riflessione sull’importanza del vivere felici, ma più ancora del morire contenti. Preparai i miei attrezzi e, dapprima con trepidazione, poi con sempre maggior partecipazione, soprattutto da parte dei numerosi spettatori, contribuii a far ridere e sorridere quella popolazione, officiando in tal modo ad un rito di vita eterna. Chissà, se con il chiasso fatto laggiù sono stato capace a divertire anche gli spiriti di lassù. Questo resta un mistero... ma a me piace pensare di esserci riuscito. 

Ritornato in Italia, due giorni dopo il mio arrivo, mi recai in Trentino e precisamente a Tione per uno spettacolo di magia. Poche ore prima del mio arrivo successe un fatto di sangue. Un giovane, appartenente alla setta degli arancioni, aveva ucciso a coltellate una commerciante nel suo negozio. 

Arrivato sulla piazza del paese trovai un cartello: “Per lutto cittadino lo spettacolo di magia non avrà luogo. Il comitato organizzatore si unisce al dolore dei familiari della vittima”. Paese che vai usanze che trovi... 

1994 - dicembre. Nigeria 
Natale con i tuoi, cioè con i miei e… i miei sono sempre stati i bambini. Cosi il Natale del 1994, passato con i bambini della Nigeria, fu senza dubbio uno dei Natali più belli della mia vita. 

L’accoglienza che ebbi all’aeroporto di Lagos non si poteva certo definire benevola. Nella nazione era latente un malessere che sarebbe poi sfociato in una guerra civile e, a una certa ora della sera, vigeva il coprifuoco e per poco o nulla poteva essere applicata la legge marziale. A trarre profitto da questa situazione di precaria stabilità erano le guardie o militari, possessori di una specie di arma. Infatti, dopo ben due ore di attesa per ritirare le valige, mi si presentò una specie di militare con una pistola lanciarazzi in mano; mi mise contro un muro, dicendomi che il mio passaporto non era in regola; però se avessi versato una “piccola” somma di denaro (soli 10 dollari), potevo ritirare le mie valige. Anche se non capii il nesso tra il passaporto non valido e ritiro delle valige, pensai che non mi conveniva certo fare l’eroe… anche perché con me c’era mia sorella Daria, che, a cominciare dalle ginocchia, manifestava indubbi segni di svenimento. Tirai fuori dalla mia tasca un biglietto verde da 10 dollari e recuperai le mie valige… poi ebbi una idea brillante. Mi feci ridare il biglietto da 10 dollari, lo chiusi tra le due mani e quando le aprii si era trasformato in un santino, riproducente Padre Pio, che consegnai al militare. Si può scherzare con i fanti, ma non con i santi… infatti la guardia, anche se a malincuore, prese il santino e interpretò il gesto come una benevolenza degli spiriti. Potenza della magia o… meglio di Padre Pio. 

Da allora presi la saggia abitudine di portare sempre con me, in ogni viaggio, un mazzetto di santini dei principale santi del calendario romano, compresi San Gennaro e San Giuseppe da Copertina, fluttuante a mezz’aria come un mago. 

A parte questo inconveniente, la mia permanenza in Nigeria fu tranquilla e piacevole, anzi ovunque venni accolto con onori davvero regali. Nella missione di Akure, un vescovo di colore volle essere addestrato alla pratica di alcuni semplici giochi di magia per allietare le sue pecorelle. In cambio mi donò lo scettro della sua tribù. A Ondo, il re della contea si sedette in prima fila, insieme alle sue 25 mogli, per assistere al mio spettacolo di magia. Da molti fui scambiato per uno stregone o detentore di poteri diabolici… I piccoli però mi considerarono loro amico e parteciparono a migliaia ai miei spettacoli. 

1995 – agosto. Filippine e Cina 
Il viaggio nelle isole Filippine e in Cina fu per me come un cammino a ritroso sui sentieri del mistero e del magico primordiale. L’oriente con i suoi maghi e antiche tradizione ha sempre suscitato in me immagini mitiche e arcaiche, cariche di un fascino particolare. In Cina, ad esempio, sapevo che erano nati i più grandi maghi della storia, con i loro giochi di prestigio ancora validi tutt’oggi. Dalle isole Filippine, poi, mi giungevano notizia di miracolosi guaritori che opererebbero con il solo mezzo delle mani, asportando viscere e tumori, per poi annullare ogni traccia di ferita con un semplice tocco delle loro mani. 

Al di là di questa naturale curiosità, restava fondamentale in me la scelta di incontrare e far sorridere i bimbi della terra... soprattutto di quelle terre lontane. E che fossero lontane quelle terre non lo provava solo in fatto delle 17 ore di volo, ma soprattutto la diversa e sofferta situazione sociale in cui si trovavano a vivere quelle popolazioni. 

Con tutto ciò, anche in quel viaggio, subii il fascino della giovanissima popolazione delle Filippine. Ancora oggi, l’età media si aggira sui 22 anni. Una bella differenza con la nostra Europa, vecchia in tutti i sensi, anche in quello più vistoso dell’età. 

In quelle isole mi divertii e feci divertire la giovane popolazione con spettacoli improvvisati nelle località più disparate: dalle scuole rigurgitanti di migliaia di giovani, alle comunità di narcocenter delle grandi metropoli, dai villaggi montani del nord con le risaie a terrazzo, alle spiagge delle isole del sud. In realtà, di fronte all’ingenuità di quella massa imponente e immobile di ragazzi che sgranavano gli occhi davanti al fiume immaginifico di trucchi e trasformismi, il primo a divertirsi fui semplicemente io. 

A Tondo, uno degli Slum più poveri del mondo a Nord di Manila, dove Paolo VI fece il suo primo viaggio nel mondo, feci uno spettacolo davanti a 12.000 persone, soprattutto bambini e ragazzi, che assiepavano gli ampi cortili della parrocchia tenuta dai Salesiani. Non dimenticherò mai i loro volti, i loro sorrisi, i loro occhi … incredibilmente vivi in una terra quotidianamente sommersa dal fango e dalla piogge tropicali. Il tempo è passato… non il ricordo, avvalorato da una fotografia stupenda e spontanea che diventerà il manifesto della mia “magia per la vita”. In particolare ricordo poi un altro spettacolo a San Fernando, a nord di Manila, nella grande isola di Luzon. Qui il vulcano Pinatubo aveva lasciato ampie tracce del suo cammino devastante, trascinando a valle fango e detriti vari. In quella occasione feci il mio spettacolo di magia al secondo piano di un ampio caseggiato. Strano a dirsi e a vedersi, ma i giovani spettatori non sembravano affatto spaventati dall’acqua che ormai stagnava a piano terra, quanto piuttosto erano ammirati dai miei giochi di prestigio. Potenza della magia che, se non annulla disagi e disgrazie, ne fa dimenticare, almeno per un attimo, il triste sapore. 

Questa non è che una delle tante avventure vissute durante i miei viaggi. 

Con il viaggio nelle Filippine era compreso anche una sosta in Cina a Hon Kong e Macao. Era un’offerta speciale… e non volli rinunciare a questa felice occasione. Naturalmente i missionari salesiani del posto non mi lasciarono disoccupato. Feci in quattro giorni ben venti spettacoli in teatri gremiti di gente, soprattutto giovani e bambini. Era come essere messo a una catena di montaggio: dodici ore al giorno con brevi soste per docce rinfrescanti e brevi spuntini a base riso e carne in agrodolce. L’unico monumento che ebbi il tempo di visitare fu la facciata della prima grande basilica costruita dai gesuiti e dedicata a San Paolo a Macao… vera porta della Cina. Quattro secoli di storia erano scolpiti in quella facciata 


1995 – ottobre. 
Il giro dei miei viaggi si allargava sempre più e sovente mi trovavo a dividere la lingua italiana con quella inglese. A quel tempo il mio vocabolario britannico era essenziale: sapevo dire: “OK”… ma ero sempre “KO”. Se dicevo: “Tank you”, “Plice”, “Bay”era sempre di più di quello che, egoisticamente, molti italiani sanno dire nella loro lingua. Tuttavia questo non era sufficiente, per cui in ottobre, con l’inizio delle scuole, pensai di riprendere il cammino sospeso in giovinezza e frequentai un corso scolastico di apprendimento della lingua inglese. Andai a Londra a sciacquare i panni in Tamigi e vi restai due mesi imparando quel tanto che mi permise di presentare il mio spettacolo di magia anche in inglese. 

Con molti errori e altrettanta faccia tosta diventai esperto nel farmi capire in ristoranti e aeroporti e far sorridere anche i bambini di madrelingua anglofila. Abbandonai il mio nome d’arte: “Sales”, che, in inglese sapeva più di svendita che di altro e mi presentai con il mio nome originario: “don Mantelli”. Suonava bene… Ero pronto per nuove avventure… e queste non tardarono ad arrivare. 

1996 – febbraio Sud Africa 
Il primo paese di lingua inglese in cui andai fu il Sud Africa. A dire il vero dovevo andare in Liberia, la missione sostenuta dai salesiani di Londra… ma, all’inizio di quell’anno scoppiò una guerra civile e la mia magia, utile a far sorridere, serviva a ben poco contro gli orrori di una guerra. Pensai di andare in Corea. Telefonai al superiore dei salesiani… ma trovai la linea occupata. Il secondo della lista era il Sud Africa. Trovai la linea libera e andai li. 

In quel viaggio fui accompagnato da un mio carissimo amico: Vittorio Balli, allora presidente di uno più importanti circoli magici italiani e mio carissimo amico. Durante il periodo del seminario era stato il mio maestro di magia e da lui avevo imparato gran parte di quest’arte stupenda che ancora ora non smette di affascinarmi. Con lui avevo organizzato numerose manifestazioni, tra cui il grande raduno dei prestigiatori italiani, in occasione dei centenario di San Giovanni Bosco nel 1988 a Torino. Da alcuni anni era andato in pensione ed era, quindi, libero da impegni lavorativi. 

Così decise, con mia grande gioia, di seguirmi nei miei viaggi “magici” per il mondo. Facevamo coppia fissa e non solo nello spettacolo. Diventammo presto amici. Mi trasmise due gradi valori: la capacità di meravigliare con un gioco di magia e, molto più importante, di meravigliarsi di tutto e di più… soprattutto di me stesso. A lui devo molto e quando, l’anno dopo, al termine di un nostro viaggio negli Stati Uniti, a New York, fu colto da un brutto malore che lo portò, nel giro di due anni, alla tomba, o, meglio, nel regno di “magia infinita”, mi sentii tremendamente solo. 

Io penso che la nostra vita sulla terrà non sia altro che una serie di prove teatrali che ci preparano per la vera grande recita di magia infinita, in cui, la meraviglia non avrà mai fine e Vittorino, avendo assimilato la sua parte alla perfezione, fu pronto al grande debutto molto prima di me. Questo pensiero, di fronte alla perdita di una persona cara, non mi rallegra di certo... però mi da conforto e speranza nel continuare ad affrontare con serenità le »prove« della vita. 

1996 aprile India 

In Sud Africa, restai un mese, il tempo necessario per acquisire una discreta padronanaza della lingua inglese nel fare spettacoli. 

Così in aprile di quello stesso anno ero, sempre con Vittorio, già in India, dove feci i miei spettacoli di magia in scuole di almeno tremila studenti, in ospedali, nei cortili di parrocchie strapieni di bambini in festa. In quella magica terra avevo Incontrato la gioia, ma anche tanta povertà, frammista ad altrettanta disperazione, ma mai come a Calcutta avevo sperimentato i giganteschi problemi che angustiano i poveri della terra come la fame, la malattia, l’ingiustizia la crudeltà, soprattutto l’indifferenza dei potenti.. E qui incontrai Madre Teresa… un sorriso in mezzo alla miseria. Ho incontrato questa “piccola-grande anima in una mattina di sole, in una di quelle mattine che oserei dire, parafrasando lo slogan di un noto prodotto pubblicitario, con il sorriso in bocca. Un sorriso, ma sulla faccia di un essere avvilente, come avvilente e sporco è lo slum in cui si trova la casa madre delle suore missionarie della carità in Calcutta… una città senza confini e senza barriere dove le baracche affiancano i palazzi dell’era coloniale e dovunque migliaia di persone dormono per le strade, nutrendosi di avanzi che disputano ai ratti, soffocati da un inquinamento insopportabile e sommersi dai rifiuti. 

Quel mattino del 12 aprile 1996 accettai con gioia l’invito di un missionario salesiano a celebrare una messa nella cappella della casa madre delle suore della carità in Calcutta. Sapevo che sarebbe stata presente la stessa Madre Teresa. 

Di tutte le messe ascoltate e celebrate nei miei anni di sacerdozio quella fu senz’altro la liturgia che maggiormente mi avvicinò a Dio. 

La cappella non aveva nulla di particolarmente artistico: consisteva in un ampio stanzone spoglio di fronzoli, al primo piano, con le finestre aperte su una via del centro di Calcutta. Li, in un angolo, al limitare della porticina d’ingresso, Madre Teresa, ogni giorno alle cinque del mattino, assieme ad un centinaio di suore- missionarie della carità, assisteva alla messa, mescolando il suo canto al vociare grossolano e al rumore assordante di carri e di camion proveniente dalla strada piena di vita. Eppure, come per incanto, il rumore in quello stanzone non guastava la devozione, anzi diventava, nella messa, il canto implorante del mondo che ripeteva: »Perché?« e chiedeva un posto nella preghiera dei santi, un posto prediletto vicino alla tenerezza di Madre Teresa. 

Un uomo agonizza sul marciapiede della metropoli, sfinito di stenti e di febbre. Un uomo? Domani all’alba il carro dell’immondizia pulirà la sua impronta. Oppure no. Oppure mani affettuose, accarezzano quel volto morente, lo prendono in grembo, gli parlano, lo accompagnano, gli stanno vicine. 

»Perché – ci chiediamo dal nostro carro di monatti attrezzati—tanto muore lo stesso. Muore lo stesso, sì, ma come un uomo, non come un cane; e forse per lui è la prima volta che diventa un essere umano«. 

Se ripenso a questa prima esperienza a me personalmente narrata, dopo la messa, da Madre Teresa, quando raccolse da una fogna aperta un uomo disfatto e coperto di vermi e lo portò a casa, sento di nuovo l’urto di questi infiniti perché che giungevano dalla strada durante la messa . E mi si pianta in cuore la risposta di quella suorina dall’aspetto di niente, curva nel sari bianco bordato di blu, con quegli incredibili occhi costantemente sereni: “Per amore, soltanto per amore”. 

1996 
13 aprile - Il giorno dopo e precisamente il 13 aprile ebbi la grande soddisfazione di esibirmi di fronte a Madre Teresa in persona. 

Si dice che i giochi di magia piacciono ai grandi ma divertono i piccoli. Durante il mio spettacolo a Calcutta madre Teresa, più che compiacersi, si divertì un mondo… segno che il suo cuore era restato un cuore di bambino. Diversamente come avrebbe avuto il coraggio di credere nell’amore e nella povertà, come avrebbe avuto l’incoscienza di lottare contro le forze del male e dell’egoismo… come, ora, avrebbe potuto entrare direttamente in Paradiso, passando attraverso la porta dei privilegiati? “Lasciate che i bambini vengano a me, perché di essi è il regno dei cieli”. 

Al termine dello spettacolo ebbi un colloquio e fui gratificato dalla sua benedizione. Mi lasciò con un foglietto su cui erano scritte date e località: Era un calendario di spettacoli nelle varie case delle sue suore e dei suoi poveri: Era diventata la mia impresaria in India. Buon segno per quando dovrò essere ammesso in paradiso. Intanto qui in terra vado avanti con la sua benedizione e il suo augurio di speranza: “Ricordati - mi disse, - che dietro le nuvole ci sono sempre mille soli”. 

Così la sua testimonianza mi incoraggia ancora oggi e domani a scoprire la forza dell’uomo, la sua capacità di sognare, di credere, di trionfare anche nelle peggiori avversità. 

Per me quello fu un giorno memorabile…(come scriverebbe uno studentello di primo pelo nel suo compito in classe di italiano). Avevo fatto sorridere colei che la gente chiamava ”santa” anche quando era ancora in vita. Mi ero avvicinato al cielo e, anch’io, come i molti poveri da lei aiutati, ero entrato, attraverso la sua parola, il suo saluto e l’audacia della sua umiltà nella profonda tenerezza di Dio. 

Una donna coperta di misera tela, 
ornata di nulla,
vestita di tutto,
vestita di Te.
Reliquia di un cuore che batte,
che soffre, 
che cerca,
che spera,
che implora perdono,
anche per se…
nell’abbraccio di un bimbo che muore.



1996 - Agosto 
Orami la febbre dei viaggi si era impadronita di me. Praticamente ritornavo in Italia unicamente per cambiare la biancheria. Così portavo in patria parte degli odori del mondo, che, insieme alle fotografie, davano una visione esatta di come era ed è la vita in quei paesi. Sempre proseguendo verso est, sulle strade di Marco Polo e di altri grandi esploratori io andavo alla ricerca e alla conquista di un tesoro prezioso: il sorriso dei bimbi e questo mi arricchiva sempre più. In Agosto dall'India proseguii verso la Tailandia,prima, e verso la Cambogia e il Vietnam, dopo. 

In Tailandia preparai una grande illusione che avevo visto fare solo nei film: sparizione dell'elefante con bambini in groppa. Il trucco riuscì talmente bene che andò in onda sulla televisione nazionale. Ebbi subito molte offerte di lavoro. Tra le tante, un ricco mercante di Pukè, mi portò un elefante, con moglie e suocera incorporati e mi offrì milioni di bat per la sparizione dell'intero blocco. Naturalmente non gli interessava tanto la sparizione dell'elefante, quanto quella dei passeggeri a bordo. 

In quella terra, con parvenza di ricchezza e benessere, che aveva persino rifiutato l'assistenza delle suore di Madre Teresa, feci molti spettacoli nelle comunità di recupero per tossici e malati di AIDS. 

Se la povertà della Tailandia era nascosta e meno evidente, non si poteva dire la stessa cosa della Cambogia. Quella nazione riassumeva, a quel tempo, tutto ciò che di negativo può patire un essere umano: un genocidio messo in atto dai cambogiani stessi negli anni '70; la presenza invadente dei vietnamiti per tutti gli anni '80 e un colpo di Stato riuscito negli anni '90. La Cambogia di allora con i suoi 11 milioni di abitanti di cui l'85% viveva nelle zone rurali, produceva un reddito che non copriva nemmeno il proprio fabbisogno. L'analfabetismo riguardava circa il 65% della popolazione compresa tra i 15 ed i 19 anni; tra i giovani che terminavano la scuola elementare circa il 90% non proseguiva gli studi in quanto aveva bisogno di lavorare per sopravvivere. 

la Cambogia, ancora ora, è la nazione al mondo che ha la più alta percentuale di handicappati fisici per scoppio di mine ed è annoverata tra i dieci stati più poveri al mondo. L'emergenza AIDS era preoccupante e, attualmente, è la causa principale dei decessi. La struttura sanitaria era praticamente assente(nella capitale ad esempio esisteva una sola ambulanza che dovrebbe servire oltre un milione di abitanti) e le malattie, nonché i decessi causati dalla malnutrizione erano in percentuale altissima. 

La Cambogia stava allora ricominciando la sua storia, dopo decenni in cui le atrocità e le distruzioni erano state all'ordine del giorno. Un'innumerevole serie di violenze erano state perpetrate all'epoca del regime di Pol Pot contro il corpo insegnanti. Lo stesso, Pol Pot, anche se si era laureato alla Sorbona di Parigi, diceva »Tutti gli esseri umani sono uguali; quindi nessuno deve ricevere un'istruzione. Per coltivare la terra questa non è necessaria«. Su questa credenza il regime aveva portato a termine l'uccisione di chiunque svolgesse attività di insegnamento, aveva operato la distruzione di tutti i libri di testo ed aveva intentato l'eliminazione di tutte le tracce di cultura diverse da quelle del regime stesso. Questo genocidio aveva causato la morte di più di tre milioni di cambogiani e la fuga fuori dai confini del Paese di circa un milione e mezzo di persone. 

La struttura scolastica locale era, quindi, inesistente o, alla meglio, inadeguata: gli insegnanti ricevevano salari molto bassi che non li incentivavano a mantenere il posto di lavoro. Il loro stipendio infatti si aggirava sui 10 dollari al mese. Inoltre avevano una preparazione in molti casi molto bassa, alcuni sapevano a malapena scrivere, e non avevano alcuna conoscenza specifica riguardo le tecniche di insegnamento. 

Questo era l'ambiente in cui io cercai di presentare le mie magie e non mi stupii più di tanto se il pubblico presente aveva difficoltà a sorridere. Per la prima volta mi trovai veramente a disagio. Già con Paolino, il bimbo brasiliano incontrato nel lebbrosario di San Juliao, avevo provato questa difficoltà, ma la mi trovavo di fronte a un caso singolo. Qui, il diritto al sorriso era stato annullato e negato a un'intera popolazione e la »popolazione« che assisteva ai miei spettacoli era composta essenzialmente di bambini. Alle sera di quel mio primo giorno in Cambogia, quando fui solo, piansi. Quelle lacrime furono liberatorie per me e provvidenziali per molti bambini cambogiani. Decisi che, appena possibile, avrei iniziato un'opera di aiuto e di assistenza a quanti più bambini possibili della Cambogia. 

Attualmente la mia Fondazione sta aiutando più di mille bambini cambogiani, attraverso l'opera delle adozioni a distanza e la richiesta di assistenza da parte di benefattori, si sta allargano sempre più, come una macchia d'olio, una macchia di comune solidarietà per dare un tetto, un pasto, una scuola, ma soprattutto un gesto di affetto al sorriso ritrovato di tanti bambini cambogiani. 

Il mio viaggio in Asia non era ancora finito. Rimasi in Cambogia soltanto una decina di giorni. A Phnom Phen feci uno spettacolo in un monastero buddista di fronte più di cento monaci; poi varcai i confini verso est in direzione del Vietnam. 

Allora e, forse ancora adesso, in Vietnam vi era una legge che vietava le assemblee pubbliche con più di dieci persone. I miei spettacoli di magia non erano certo un affare privato, così, appena fui a Saigon, aprii le mie valige e feci uno spettacolo davanti a più di mille persone, presenti anche i funzionari di partito, che, intelligentemente capirono che un sorriso non poteva certo ledere al potere proletario. Naturalmente non dovevo presentarmi come prete. Il buon Dio, mi avrà certo perdonato questo piccolo peccato di passata gioventù. Al nord del paese, dove il regime era più intransigente, ricevetti, invece, onori quasi regali. 

Ad ogni spettacolo mi offrivano corone di fiori e i bambini mi venivano vicini e mi toccavano per convincersi che ero di carne e ossa. Ci fu un'occasione, in cui arrivai sul posto della manifestazione con quattro ore di ritardo. Le strade era pessime e i mezzi di comunicazione non erano da meno. Io pensavo di non trovare più nessuno, invece dovevo sbagliarmi sonoramente. Non solo non ricevetti improperi, ma fui accolto, all'ingresso del paese, da una banda musicale, poi il sindaco del villaggio fece il suo discorso e alcuni bambini mi offrirono una corona di fiori. Infine tutta la popolazione del villaggio (più di tremila persone) pretese che io mi accomodassi alla mensa preparata da ore per me e per gli altri ospiti. Prima dello spettacolo il missionario aveva programmato una messa solenne e, tutti, nessuno escluso, assistettero con una devozione encomiabile, alla celebrazione eucaristica. Con un comportamento così non mi stupii più se quella popolazione era risultata vittoriosa di fronte al sovrapotere delle truppe di occupazione coloniale sia francesi che americane. Una enorme differenza anche con i pensionati del nostro paese che inveiscono se sono costretti ad aspettare in coda presso uno sportello, prima di ritirare la loro pensione. 

1996 ottobre Stati Uniti 
Nell'elenco dei paesi da visitare non poteva mancare la »babilonia« delle genti; il paese a stelle e strisce. Negli Stati Uniti andai per due motivi: primo per migliorare il mio inglese e, secondo, per allargare i miei contatti con i prestigiatori del mondo. In realtà avevo sempre desiderato visitare questo stupendo paese, con i suoi grattaceli, con i suoi parchi di divertimento, con la sua varietà di popolazione e... con Topolino e Paperino, i miei eroi preferiti da sempre. 

Ci andai con Vittorio Balli e vi rimasi due mesi. Fu un periodo della mia vita passato allegramente... certamente fu la più bella vacanza vacanza della mia vita... di cui non ho mai avuto rimpianti. Avevo necessità di ricaricare le mie "batterie" e quando feci il pieno, la mia vacanza era terminata. Ritornai in Italia per le feste natalizie e, con il nuovo anno, ero pronto per una grande iniziativa. In febbraio, con alcuni collaboratori salesiani e benefattori laici fondai una Associazione per la difesa dei diritti dei bambni nel mondo: era l'Associazione Mago Sales. I Salesiani mi diedero persino una nuova sede, sempre in via Paisiello, al secondo piano di uno stabile di ben 800 metri quadri. Qui iniziai a depositare i miei ricordi e, in breve sorse un vero e proprio museo della magia, una biblioteca magica, unica in Italia. Iniziai una scuola... naturalmete di magia, fondai un giornalino dal titolo: "Sim Sales Bim" e mi misi nel commercio equo, magico e solidale: aprii, cioè, una casa magica per corrspondenza. Comperavo giochi di prestigio e di gicoleria dall'India e li rivendevo in Italia a missionari e giovani prestigiatori. Il ricavato naturalmente andava in opere di soidarietà. Riuscii persino a costruire un dispensario in Nepal. 

1997 aprile Pakistan e Nepal

Andai in Nepal la prima volta nell'aprile del 1997 con un'organizzazione italiana per le adozioni internazionali dal nome un po' strano NAAA, ma molto ben organizzata. Il viaggio prevedeva una sosta in Pakistan, a Karaci e qui fui protagonista di una vicenda incredibile e inimmaginabile... ai giorni nostri. 


LA VERA STORIA DI KALIM
Una telefonata mi svegliò nel cuore della notte. Ero alloggiato all’Hotel Marriott nel centro di Karachi in Pakistan. »Always in the right place at the right time« (siamo sempre nel posto giusto al momento giusto) diceva lo slogan di benvenuto dell’albergo. Purtroppo tale rassicurante affermazione, letta distrattamente il giorno prima, arrivando dall’Italia, mi sembra ora molto poco attuale, certamente un po’ provocatoria… e il seguito di questa mia avventura ve lo dimostrerà. “Hello!”, dissi stancamente, sollevando la cornetta del telefono. 
Chi mi chiamava era una persona molto influente del consolato italiano a Karachi. L’appello e l’invito che mi giungevano dall’altro capo della linea telefonica fu l’inizio di una incredibile e tremenda vicenda, che non pensavo assolutamente potesse ancora succedere sulla terra. La richiesta fu senza mezzi termini: “Dobbiamo partire immediatamente perché ci è giunta una nuova segnalazione”, mi dissee la voce al telefono, “Se vuoi, puoi venire con noi. Così saprai finalmente che quello di cui abbiamo parlato l’altra sera è tremendamente vero”. 

Dopo una breve lotta tra due M: materasso e mobilità, vince in me la curiosità. Un’ora dopo ero a bordo di un fuoristrada che, dopo aver attraversato velocemente le vie deserte di Karachi, si avviò lungo una strada polverosa, fiancheggiata da distese coltivazioni di cotone. La meta era top secret. Sapevo soltanto che distava ben 6 ore di macchina dalla capitale e che stavamo percorrendo la strada lungo la piana dell’Indo che portava a nord verso Hiderabad, nella regione del Sind. 

Per allentare la tensione che pesantemente avvolgeva la nostra comitiva, la guida accennò ad alcune note di un allegro canto afgano... ma, data la situazione, sembrava più un lamento funebre che un canto di gioia. Dopo una veloce sosta al ristoro di un villaggio, arrivammo a destinazione. Lasciammo la macchina al bordo della strada e ci avviammo lungo un sentiero che si destreggiava tra aridi campi disseccati. La nostra guida ci disse che da mesi non pioveva in quella regione e il vento del sud aveva ormai bruciato l’intero raccolto di frumento. I nostri occhi erano testimoni di una povertà estrema, segnata sui volti dei numerosi abitanti del villaggio. I bimbi sembravano i macilenti personaggi di una favola di Dickens fine ottocento, e i vecchi parevano ridicoli contorsionisti nel tendere la mano che un tempo veniva offerta unicamente al saluto, ma ora, per necessità, veniva tesa per richiedere soccorso e elemosina. La fretta ci fu di guida. Così senza rispondere ai saluti dei bimbi e alle richieste degli anziani, entrammo in un capanno di latta e stracci. L’odore sgradevole di umanità, o meglio la puzza di sporco frammista al caldo stagnante, ci prese alla gola, ma fu presto annullata dalla angosciante sensazione che provammo alla vista di un gruppo familiare stremato dalla fame e dalla vergogna di dovere accettare il ricatto di un ignobile mercante. Finalmente la persona che mi aveva interpellato al telefono svelò il motivo della nostra spedizione al villaggio. Eravamo venuti per riscattare un bimbo; cioè per comperarlo, naturalmente ad un prezzo poco superiore di quello che sta per essere offerto da un mercante di schiavi arabo. Il raccolto della terra era andato perso a motivo della siccità e i contadini della regione, non avevano neppure i soldi per pagare il debito contratto dal proprietario dei terreni a seguito dell’acquisto della semente e degli attrezzi agricoli… Quindi quella famiglia si rassegnava a pagare il debito vendendo un figlio. Una prassi tremendamente normale presso la popolazione di quei villaggi abitati esclusivamente dalla tribù non mussulmana dei Bagri. Un tempo, prima della rivoluzione del 56, tale popolo era molto ricco e possedeva praticamente tutte le terre tra il fiume Indo e il confine indiano. A seguito della riforma e conseguente rivoluzione islamica gli Indù o i non mussulmani che non vollero fuggire in India, furono praticamente spodestati delle terre e costretti a lavorare come schiavi a servizio dei nuovi padroni islamici. Quella volta il debito contratto era molto alto: 3.000 dollari. Tanto serviva per riscattare Kalim, il bimbo di appena cinque anni. Il prezzo venne pagato al padrone del terreno e noi diventammo “proprietari” di un bimbo. In effetti Kalim verrà portato in un istituto di Karachi,gestito da un gruppo di giovani focolarine, dove fu curato e assistito. Kalim fu il primo bimbo “comperato”, nel vero senso della parola e aiutato dalla nascente Associazione Mago Sales a ricuperare la gioia della vita. Il cammino, però, era soltanto iniziato. Ancora ora, infatti, la cessione di bambini per il pagamento dei debiti avviene tra tutte le popolazioni o tribù del Pakistan, siano esse mussulmane che non mussulmane. I bambini venduti diventano schiavi o prostitute oppure vengono mutilati per l’accattonaggio. A volte vengono rivenduti e vengono mandati nei paesi del Golfo per impieghi analoghi. E’ risaputo che dall’India vengono comperati da parte di ricchi possidenti dei paesi o emirati arabi, bambini indiani, perché costituzionalmente molto piccoli e leggeri, al fine di essere usati come fantini nelle innumerevoli corse con i cavalli… Sport tristemente noto per le enormi scommesse in denaro, proprio di quei paesi. Attualmente sembra che il mercato di bimbi sia in continuo aumento nel mondo, Si dice che ogni mese dal porto di Karachi parta una nave con circa tremila bimbi: destinazione ignota, come ignota è sicuramente la fine che faranno tutti questi innocenti. In una piazza di Karachi un’organizzazione umanitaria islamica denominata Edhi ha costruito una culla di pietra, coperta da un tettuccio di latta, su cui c’è scritto: “Do not kill” (non ammazzare). Il riferimento e l’invito è rivolto alle mamme o a coloro che pur non volendo più un bambino, sentano la necessità di non disfarsene, buttandolo in un cassonetto della spazzatura. Ogni notte vengono deposti nella culla dai 3 ai 10 bimbi e prontamente il custode, nascosto in una stanza accanto, accorre, al trillo di un campanellino, per prelevare i neonati. Nessuno ha mai saputo che fine facciano quei bambini e non si vuole pensare il peggio… Certo è che il sistema islamico non accetta “l’istituto delle adozioni!”. 


1997 agosto - Brasile Amazzonia
In Brasile ci andai la seconda volta nell’estate del 1997 e “approdai” a Manaus, nel cuore dell’Amazzonia. In questa città, infatti, si arriva solo con “approdi”: o per cielo, o per fiume. Siccome mi avevano riferito che i primi missionari vi erano arrivati attraverso le acque dopo un viaggio durato sei mesi, guadando fiumi immensi e torrenti con cateratte spaventose, preferii servirmi dell’aereo. Ci arrivai così sano e salvo… soprattutto con l’animo allegro per sfoderare le mie magie tra merenghe a carioca. Troppo sovente il Brasile ci viene presentato come terra di carnevale e pan di zucchero. Invece, anche se non è più considerato un paese del terzo mondo, esso ha un indice di criminalità e povertà giovanile molto elevato. I ragazzi di strada, chiamati “meninos de rua”, sono un fenomeno in continuo aumento nelle grandi città del Brasile e, Manaus, come altri centri dell’Amazzonia, non faceva certo eccezione. Però qui i ragazzi che, ancora ora, vivono nella strada, organizzandosi in bande e sfruttando ogni espediente possibile per vivere, hanno un loro paladino di difesa: è il padre salesiano belga don Bento Lefevre, che io ho incontrato in uno dei tanti “centri pro menor” da lui creati a servizio e vantaggio dei bambini di strada. Io penso che Padre Bento sia “la madre Teresa dei bambini poveri dell’Amazzonia, dove è presente un tipo di povertà diversa da quella dei bambini indiani, ma pur tuttavia, non meno deprimente e devastante. Padre Bento “approdò” in Amazzonia molti anni fa e subito l’amore che egli nutriva per i giovani e per i ragazzi lo stimolò ad interessarsi alle loro condizioni sociali di vita, prima ancora che alle loro appartenenze religiose. Restò subito fortemente impressionato come un gran numero di bambini fosse sfruttato attraverso il lavoro di vendita per le strade dai numerosi fabbricanti della città. Subito raccolse presso di sé un numero discreto di questi bambini (dieci in tutto) e propose un diverso sistema di vendita. Comprò un frigorifero e produsse dei ghiaccioli; poi invitò i ragazzi a confezionarli e a venderli per le strade. L’intero guadagno, detratte le spese, venne ripartito tra di loro. Fu subito un successo. Dopo un mese i ragazzi diventano 40. Usando tutta la sua immaginazione e tenace operosità per creare nuove opportunità di fabbricazione e di vendita dei nuovi prodotti, padre Bento cercò aiuti finanziari dentro e fuori del paese. Con queste “sovvenzioni della provvidenza” comperò dei tricicli per il trasporto veloce della merce, comperò nuovi macchinari… aumentarono i frigoriferi e allo stesso tempo aumentarono anche i ragazzi. Presto alla gelateria, si affiancò una panetteria, poi un laboratorio di meccanica, di scultura e ancora una fabbrica di caffè.
Dopo pochi anni i centri si moltiplicarono. Quando io visitati il centro di Manaus, questi erano presenti nei più grandi centri di ben cinque stati del Brasile. Il secondo centro pro menor che ebbi il piacere di visitare fu quello di Humaità, culla del progetto umanitario di padre Bento. Anche lì, naturalmente aprii le mie valige e presentai la mia magia confrontandola con quella spontanea dei ragazzi brasiliani.. di quelli che andavano con piacere alla scuola… perché era una scuola diversa, una scuola di vita. Allora capii che si poteva essere maghi, anche senza fare i trucchi di magia, senza usare la bacchetta magica… bastava avere il coraggio di amare i ragazzi e di credere nella provvidenza. Un tempo nella piccola cittadina di Humaità c’erano centinaia di ragazzi di strada. Nel 1997 erano scomparsi: magia di un padre salesiano e meraviglia… anche per un mago come me. 

1997 Novembre - NEPAL
In Nepal ci andai la seconda volta in occasione del Natale del 1997. Il re aveva un orfanatrofio a Katmandù... In realtà non sapeva di averlo; lo aveva probabilmente reditato dai suoi discendenti e a gestirlo era un ente governativo con a capo un bramino che si vantava di saper fare dei giochi di prestigio. Il nome dell'orfanatrofio è »Balmandir«. Io avevo conosciuto il bramino nel mio precedente viaggio e lui si era mostrato molto interessato ai miei giochi. 

Al momento dell'addio ci eravamo lasciati con una promessa: lui avrebbe pubblicizzato il mio spettacolo nel reale teatro di Katmandù ed io sarei ritornato per proporre le mie magie ai dignitari dello Stato, compresa la famiglia reale... Naturalmente l'incasso sarebbe andato, corruzione pernmettendo, a vantaggio dei poveri orfanelli. Non era passato un anno dal nostro addio e il bramino aveva mantenuto la sua promessa. Così a novembre dello stesso anno, io ero nuovamente alle falde dell'Himalaia, in quel paese stupendo. 

Sembrava tutto programmato, ma, il destino o, meglio, la provvidenza aveva ben altri intendimenti e fece deviare il mio »cammino teatrale« verso lidi ben differenti... certamente più vantaggiosi per i bambini del mondo e per me. 

Infatti, a sorpresa, alcuni giorni prima del mio arrivo era arrivato nel paese il più grande mago-prestigiatore dell'India, famoso in tutto il mondo: il grande Sorgar Junior, figlio del grandissimo Sorcar senior e aveva allestito il suo spettacolo nello stesso teatro reale di Katmandù, naturamente,davanti all'intera famiglia reale. Le repliche poi si erano ripetute per più settimane e... quando io arrivai, lo spettacolo era ancora in programmazione. Così, a me non restò altro da fare che assistere allo spettacolo, complimentandomi con il grande artista. Il giorno dopo incontrai un gruppo di medici e infermieri che operavano, con un programma di prevenzione sanitaria a vantaggio dei bambini, nella zona del Tarai, una regione molto povera al confine con l'India. L’associazione mago Sales propone e chiede una raccolta di fondi per l’acquisto di vitamina A e E da distribuire ai bambini nepalesi della regione del Tarai. Attualmente in questa regione ci sono più di 200.000 bambini tra i due e i sei anni che sono colpiti da malattie per i vermi, quali dissenteria, per mancanza di Vitamina A e E. Il costo di una dose di vitamina è di 36 rupie (equivalente a Lire 1.000) ed è valida per sei mesi. Inoltre una sola dose può essere somministrata a ben tre bambini dai due a cinque anni. 

Quindi… con solo 1.000 lire 
(meno di una merendina)

puoi ridare al salute ad un bimbo per un anno.

QUESTA E’ VERA MAGIA

Molti, soprattutto artisti prestigiatori, hanno già iniziato a collaborare, mediante offerte e proposte, ma molto resta ancora da fare. Per aiutare il mago Sales a vincere questa battaglia, potete inviare le offerte mediante Conto Corrente Postale n. 37533106. L’associazione Mago Sales sarà presente alla fiera del libro di Torino dal 21 al 25 maggio ’98, anche per proporre questa magia umanitaria. Intanto ringrazia la redazione del Maurizio Costanzo show per l’aiuto e il sostegno generosamente offerto attraverso la trasmissione 

Buon natale a tutti: ai belli e ai brutti, ai dirigenti e ai dipendenti, ai piccoli e ai grandi, ai simpatici e ai gelosi, ai maghi e ai teatranti … a voi che amate la mia commedia, la musica, la poesia e l’illusione.
Buon natale a tutti… soprattutto ai bambini del mondo: a quelli che voi avete aiutato a vivere meglio il dono della vita; a quelli che, con un vostro prossimo contributo, potranno, ora, frequentare un corso di studi o semplicemente correre liberi su un prato. 

Vi scrivo questa lettera dalle colline del Tarai, al confine con l’India, in Nepal, dove ho portato il contributo di molti di voi che hanno scelto di salvare i bambini colpiti da dissenteria per mancanza di vitamine. Domani farò le mie magie in un villaggio di nome Lumbini, luogo di nascita del Buddha. Per i bambini che incontrerò sarà certamente un natale di vita. 

1998 Agosto - ANTILLE

UN BICCHIERE DI LATTE AL GIORNO 
PER I BAMBINI DI HAITI
(sottoscrizione natalizia… non a premi)

Per questo nuovo anno abbiamo scelto i bambini di Haiti. E’ stata una scelta obbligata… data la povertà in cui vive la maggior parte dei bambini di questo stato, considerato il terzo popolo più povero della terra, dove la mortalità infantile si aggira sui 103 per 1000, dove il 43% dei bambini soffrono di malnutrizione e il grado di alfabetizzazione è al di sotto del 50% (rapporto UNICEF 1997). Io, mago Sales, sono stato in questa parte dell’isola nel mese di agosto per fare i miei spettacoli di magia ed ho visitato la “cité du soleil”, il quartiere più povero della capitale, dove, da anni, lavorano i salesiani, aiutati da numerosi volontari. 

Qui i figli di Don Bosco hanno iniziato un’opera di recupero dei bambini più poveri, attraverso centri di alfabetizzazione e di avviamento al lavoro. In queste scuole più 10.000 bambini trovano ogni giorno un maestro, una mano amica, un quaderno e un bicchiere di latte. Data la situazione ambientale, estremamente povera, ad un mago non si poteva che chiedere una magia: quella della solidairetà.
La nostra proposta e l’impegno dell’associazione è stata quella di coprire il fabbisogno di latte per i 10.000 bambini della cité du soleil per la durata del prossimo anno 1999. Il costo totale annuo è di 200.000.000 di lire. 
Una stupenda magia per preparci a vivere meglio l’ormai prossimo anno 2.000.
Sappiamo che la cifra “suona” molto alta e stonata se divisa per pochi benefattori. Confidiamo però nella sensibilità dei molti. Pensate con sole 20.000 lire potete offrire un bicchiere di latte ad un bimbo per la durata di un anno. Un bicchiere di latte al giorno per i bambini della “Citè du soleil” di Haiti. 


Buon Natale a tutti 

1999 Giugno - ALBANIA 


2000: Giubileo di pace – Anno di ringraziamento
Benedico il Signore per avermi creato; ringrazio i miei genitori per avermi amato e per avermi fatto nascere. Mi ritengo veramente fortunato per le persone che ho incontrato, che mi hanno aiutato a coltivare questa stupenda passione per il teatro e per la prestidigitazione. 

Infatti attraverso la magia, come spettacolo, ho avuto l’occasione di conoscere personaggi stupendi, di incontrare migliaia di giovani e ragazzi, di viaggiare attraverso luoghi e nazioni che mi sarebbe stato impossibile visitare normalmente. Così è stato per la Somalia, un nazione che ha trovato solo recentemente un barlume di pace e tranquillità. Quando mi recai nel giugno dell’anno 2000, il paese era ancora in guerra per odi tribali. 

Dopo un volo di circa due ore con un aereo della comunità europea atterrai su una pista di sabbia nei pressi del mare. Di qui, scortato da ben sei militari armati fino ai denti, venni condotto nel villaggio del SOS, un’organizzazione austriaca che lavora, nel mondo, a vantaggio di bambini orfani e bisognosi. 

Qui, il pomeriggio seguente, feci il mio spettacolo alla presenza di più di mille persone, fra bimbi, dipendenti e gente locale. 

Uno spettacolo come tanti… ma uno spettacolo che certo non dimenticherò facilmente. Il calore affettivo con cui venni accolto fu stupendo; l’attesa era visibile sul volto di tutti: piccoli e grandi e ovunque si respirava un’aria, oserei dire, magica. 

Ma più di ogni altra cosa, furono le parole di un medico somalo a rendermi pienamente felice e dare importanza ai miei piccoli gesti di istrione magico. Ebbene Pasquale (questo era il nome di quel medico: un nome che gli era stato dato nella sua infanzia quando frequentava un collegio gestito da frati francescani di origine italiana) si rivolse a me, al termine dello spettacolo con queste commosse parole: “Caro amico, ti ringrazio perché in quest’ora di spettacolo, vedendo i bimbi sorridere e la gente divertirsi come non mai, io ho dimenticato tutti gli orrori di questa nostra inutile guerra. Erano dodici anni (dall’inizio del conflitto) che io non ridevo così a lungo. Grazie… amico, per avermi ridonato la gioia del sorriso!” Quando lo abbracciai sentii le sue lacrime sulla mia spalla… lacrime di gioia… le prime dopo tante altre di sofferenza e di paura. 

Io allora pensai a tutte le cose belle che sappiamo fare e che abbiamo il dovere di dare a coloro che incontriamo… senza interesse, perché questo non diventi un lavoro e quindi una fatica, ma si realizzi con l’entusiasmo e il coraggio di una libera scelta donata. 

Il mattino dopo, al momento della mia partenza, salutato dal coro festoso dei numerosi bambini dell’istituto, Pasquale mi si avvicinò e mi salutò con una richiesta: »Mago… ti prego, non mollare; continua così! Porta la gioia dei tuoi giochi a quanti più bimbi possibile… Allora la tua vita non sarà passata invano«. Lo salutai con un abbraccio e ci lasciammo con una promessa: »Certamente, con l’aiuto di Dio e con la collaborazione di tanti amici, faremo qualche cosa di grande per i piccoli della terra«. 

Contenuti e obiettivo (una proposta che sta diventando realtà) 

Durante la manifestazione di maghi e giocolieri presso il luogo natio di Don Bosco (maggio 2002) è stata tenuta a battesimo da parte di don Silvio (mago Sales) un nuovo progetto denominato »Magiciens Sans Frontières«. 

2003 febbraio ETIOPIA

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