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ARTURO BRACHETTI - "GRAZIE AL MAGO SALES E A FREGOLI"

Lunedì 10 maggio 2010

 

ARTURO BRACHETTI «Grazie al Mago Sales e a Fregoli»

Intervista al grande trasformista che il padre avrebbe voluto prete... per guadagnarsi un posto in paradiso

 

A cura di Vincenzo Nicolello
E' conosciuto come l'uomo dai mil­le volti, per la sua grande abilità nel trasformarsi, nel passare da un per­sonaggio all'altro con grande facilità. Come fa abitualmente nei suoi spettacoli, dove di personaggi ne cambia fino a 80; mandando in visibilio gli spettatori che per vederlo riempiono i teatri italiani e non solo. Stiamo parlando di Arturo Bra­chetti, torinese Doc e grande interprete del varietà moderno. L'abbiamo incon­trato a Canale, dove gli è stato assegna­to il "T'ses pròpi `nArneis", l'annuale riconoscimento dell'Enoteca del Roero, e dove volentieri si è concesso per un'in­tervista "semiseria".


Arturo, sei famoso in Italia, ma la tua affermazione è internazionale, ti cono­scono in tutto il mondo e ti acclamano come una grande star. Come sei riuscito ad arrivare a tanto?

«Il mio segreto è rimanere bambino. Ho 50 anni e guardate come mi pettino. Già quando ero piccolo mio nonno mi dice­va: "t'ses pròpi un bell'arneis, zio pata­nu", ma non credo che fosse un complimento. Forse proprio in quel momento ho capito che sarei diventato qualcuno».

Come sono stati i tuoi inizi?

«Sono nato a Torino ed ero un classico bambino imbranato. Mio padre mi mandò all'istituto salesiano affinché di­ventassi prete. La sua speranza era di a­vere un posto in paradiso assicurato. Quando ritornai indietro e gli dissi che volevo diventare attore, lui mi guardò con sufficienza. Pensava tra sé e sé: tanto non ci riuscirà e diventerà prete. Invece si ac­corse che, dopo pochi anni, quello che io guadagnavo in un giorno, lui lo guada­gnava in un mese. Ma insisteva e conti­nuava a dire `Mah, è solo un passaggio, vedrai che finirà", e invece, per fortuna mia, non è finita. Ci sono voluti dieci an­ni prima che accettasse che facessi que­sto lavoro».


Chi è stato il primo a scoprire le tue a­bilità?


«Ero un bambino buono, passavo di se­minario in seminario. Prima a Chieri, poi a Lanzo. Lì ho incontrato don Silvio Mantelli, che tutti conoscono come il Ma­go Sales. E' stato lui a insegnarmi i primi giochi di prestigio e a lui devo la mia fortuna. Grazie all'illusionismo ho vinto la timidezza e mi sono fatto rispettare. E­ro così sfigato che ero esonerato dall'e­ducazione fisica. Piccolo, magro e "fa­gnano", svicolavo dalla palestra e an­davo a fare teatro. Se gli altri ragazzi mi trovavano in giro, mi buttavano nel cas­sonetto della spazzatura, ma quando ini­ziai a stupirli con i miei giochi di presti­gio iniziarono ad apprezzarmi e feci le mie prime conquiste»

Come sei passato al trasformismo?

«Don Mantelli mi regalò un libro dedi­cato a Fregoli e mi appassionò tantissi­mo. In realtà il trasformismo ce l'avevo nel sangue già prima. Essendo timido, mi piaceva mettere i costumi, che mi con­sentivano di cambiare personalità. Il pri­mo numero di trasformazione è stato quello di una strega, con un vestito fatto da mia mamma. Questa donnaccia, do­po aver bevuto una pozione, si trasfor­mava in una bella signorina. Il numero ebbe successo. Allora erano le suore che mi truccavano e mi davano il vin brulé per farmi passare la paura, prima di sa­lire sul palco. Le sorelle non erano così abili con i pennelli e i trucchi e ne ho le prove in alcune foto ritrovate. Ero truc­cato in modo orribile, sembravo una pro­stituta minorenne».


Ma quando è arrivato il grande salto? Chi ti ha lanciato nel mondo dello spet­tacolo?


«Sono partito da Torino nel `79 con due valigie. Sono arrivato a Parigi, alla Ga­re del Lyon. Lì ho impiegato almeno un quarto d'ora per capire come funziona­va la metropolitana, visto che non ne a­vevo mai vista una. Sono andato a fare un provino al "Paradis Latin", ho pre­sentato il mio numero e mi hanno preso. Da bravo ragazzo piemontese sono arri­vato con il mio completino marrone e la cravatta caki, ma dopo sei mesi mi sono ritrovato con i capelli blu e le pajettes. Mi hanno cambiato la vita. Ero seminarista e sono diventato un Renato Zero a Ibiza. Erano tempi divertenti».

Perché scegliesti proprio la Ville Lu­miére?


«Semplicemente perché in Italia manca­vano i teatri. In realtà avevo fatto un'au­dizione per Macario, prima che morisse. Lo spettacolo si chiamava "Oplà, ecco il varietà", ma non se ne fece nulla. Quan­do gli dissi che mi avevano preso a Pari­gi, lui mi disse ma va, corri subito in Francia.... Anche perché avere successo a Parigi era anche il suo grande sogno. Da quel momento non mi fermai più, pas­sai in Germania, arrivai a Londra nell'83, ritornai in Italia nell'85 e poi ri­partii ancora. Sempre dentro e fuori casa. Il mio girare per il mondo mi ha por­tato in Cina, sono stato a Shangai».

Ma come sono gli spettatori dell'E­stremo Oriente?


«I cinesi sono molto divertenti. Anche quando non capiscono niente, loro ridono. Nello spettacolo ci sono riferimenti a loro sconosciuti, eppure mi apprezzano molto. Quando sono in Cina parlo in in­glese e ci sono i sottotitoli, sopra il pal­coscenico. Io guardo in faccia il pubbli­co e che invece legge cosa c'è scritto. Fa­cevo anche un personaggio cinese, che parlava una lingua inventata e ho dovu­to eliminare la gag, per evitare incidenti diplomatici».


Sul palco ci sei solo tu, ma la tua ge­nialità immagino sia supportata dai tuoi collaboratori. Quante persone la­vorano per te?


«Gli abiti me li disegno io, mentre lo spet­tacolo è un po' un segreto. E' come quan­do vedete il pit stop della Ferrari in For­mula Uno. Anche nel mio spettacolo suc­cede lo stesso. Dietro le quinte ci sono as­sistenti preparatissimi che mi spogliano e rivestono. Forse è più divertente die­tro le quinte che fuori. Il mio produttore viene a vedere dietro e preferisce».

Pensi che l'adagio "Nemo profeta in patria" si addica alla tua storia?

«No... in effetti quando sono partito non c'era la possibilità di fare certi spettaco­li di varietà Italia. Oggi le cose vanno meglio. Se vogliamo manca tuttora la possibilità di fare certe cose in televisio­ne. O per meglio dire, i mezzi ci sarebbe­ro per fare programmi di qualità, ma non ci sono i soldi. Ho iniziato in "All Paradise " insieme con il Quartetto Cetra: al­lora si provava dieci giorni per un'ora di spettacolo. Ora si prova un quarto d'ora per fare una diretta di tre ore».

Sei nel Guinness dei primati per aver interpretato 80 personaggi nell'ambi­to dello stesso spettacolo: non hai mai crisi di identità?


«No, solo quando sono malato, mi con­fondo con i personaggi che interpreto. Poi arrivano i miei assistenti che mi ri­mettono in sesto».


Sei un piemontese, ma è la prima vol­ta che sei un padrino di un vino, ti piace il vino oppure... sei astemio?

«E 'la prima, ma,forse sarà anche l'ulti­ma. E'stata una bella esperienza e ho ac­cettato con piacere. Di vino non ne bevo molto, al massimo un po di Moscato, al­trimenti perdo subito la cognizione».

Prima di te per battezzare l'Arneis so­no stati chiamati Luciana Litizzetto e Antonio Cassano: avete qualcosa in co­mune?


«Con Cassano non direi, mentre con la Litizzetto direi molto. Entrambi abbiamo il gusto della leggerezza. Alla fine se uno prende la vita ridendo sta meglio».

Sei illusionista, trasformista, ma anche autore e regista: cosa ti piace fare di più?


«Fisicamente mi piace essere in scena ed essere il performer. Ma debbo dire che gradisco anche ideare e realizzare cose per altri, testi che per esempio non riu­scirei mai a fare. Le cose che ho scritto per Aldo, Giovanni e Giacomo non riu­scirei mai a portarle in scena».

E' vero che hai in progetto anche l'a­pertura di un museo?

«E 'vero. Aprirò un museo sulla magia a Torino, nel triangolo delle "bearmutan­de" tra piazza Statuto e corso Regina. Il Comune ha promesso l'uso di una chie­sa sconsacrata dove ospitarlo ed è stato scelto un istituto religioso dimenticato, quello del "Buon Pastore ", per ragazze madri. Ormai è vuoto e quindi disponi­bile.... Torino è una città magica, grazie soprattutto ai Savoia che hanno tollera­to tante cose e sarà bello poter realizza­re una simile struttura».

 

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